Oggi parliamo di fotografia, anzi di una fotografia in particolare. Si chiama Pale Blue Dot, pallido puntino blu. Non è una foto come tante altre perché è stata scattata a sei miliardi di chilometri di distanza dal pianeta terra. Su una banda marroncina causata dalle aberrazioni cromatiche della lente (in alto nella fot) si vede un minuscolo puntino: è la Terra.
Nel 1990 infatti la sonda spaziale Voyager 1 dopo circa tredici anni di onorato servizio spaziale si trovava a poco più di sei miliardi di chilometri dalla terra, quando lì alla NASA, non sapendo bene che farsene, decisero di farle scattare qualche foto dello spazio. Passava di lì Carl Sagan, il famoso astronomo, che disse: “Ragazzi, facciamola voltare verso la terra”. Con dei filtri blu verde e viola riuscirono a scattare un’immagine evidenziando poi il pianeta terra: un puntino minuscolo perso nelle immensità dello spazio.
Pensateci: noi siamo lì. Tutte le persone che conosciamo, abbiamo conosciuto e conosceremo sono lì, concentrate in quel minuscolo puntino grande 0,12 pixel. Il resto è universo. Sconfinato, sconosciuto. Pensateci un momento: è una visione magnifica e terribile al tempo stesso. “Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto”, queste le parole di Carl Sagan stesso a spiegazione della fotografia.
Ecco il testo integrale tradotto (o, se preferite sentite direttamente la voce di Sagan in inglese su youtube):
Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.
Sulla faccenda sono stati prodotti innumerevoli omaggi, ma ci tengo a farvi vedere questo breve fumetto di Gavin Aung Than per Zenpencils.com.
Pale Blue Dot non può farci rimanere indifferenti: è una fotografia che ci impone, così oggettiva e così terrifica, una riflessione sullo spazio che occupiamo nel nostro “pallido punto blu”, sul nostro ruolo nella vastità dell’universo, sulla “follia delle vanità umane”. E’ un esercizio di umiltà.
Poche fotografie riescono ad essere così potenti.